venerdì 27 febbraio 2015

Iprite a Bari, l'ultimo mistero di guerra


Dopo settant'anni, ancore oscure le motivazioni




Giovedì 1 Dicembre 2011
Il 2 Dicembre del 1943, la Puglia e particolarmente Bari, diede un'altissimo contributo di sangue alla guerra che non finiva mai. Il pomeriggio di detta data, erano circa le 19,30, 105 bombardieri della Luftwaffe tedeschi, presero d'assalto il porto barese pieno zeppo di navi alleate. Almeno un migliaio di morti causati dalle diverse esplosioni e dal carico d'iprite cui era colma e zeppa una nave battente bandiera americana: John Harvey. E' utile precisare che i gas mortali, furono utilizzati tantissimo durante la Prima Guerra Mondiale, diversamente nella Seconda Guerra tutte le Potenze Militari ritennero inutile utilizzarli, oltretutto proibito dalle convenzioni militari.

Allora sorge spontanea una domanda: cosa avrebbero dovuto fare gli Alleati con quel gran quantitativo d'iprite? Cosa ci faceva la nave ormeggiata a Bari? A distanza di quasi settant'anni, il mistero è ancora vivo, accennato appena nei libri di storia e coperto da segreto militare. Un civile Augusto Carbonara che assistette al bombardamento dalla finestra della sua camera da letto, cosi ci racconta: A Bari il sole è tramontato da due ore, nel cielo sereno solo una piccola falce di luna. L'aria è chiara e luminosa ed il mare calmo e nel porto le luci delle navi illuminavano la banchina. Alle 19.25 suonano le sirene dell'allarme aereo, tutte le luci si spengono e nel frattempo un rombo di aerei arriva da nord-est. Cadono le prime bombe e si odono le prime esplosioni, mentre candelotti illuminanti vengono fatti paracadutare e lentamente illuminano il porto.

Nel complesso verranno affondate 5 navi americane, quattro inglesi, tre norvegesi, tre italiane (tra cui la nave Barletta, Frosinone e Cassala) e due polacche. Sette le navi gravemente danneggiate. La sorpresa dell'attacco e l'ignoranza del carico della Havey, causarono i danni più gravi. Non esistevano rifugi anti-aerei, non esistevano mezzi di protezione personale, tutti rimasero ai loro posti fino alla fine del bombardamento. Il maledetto gas, mescolandosi alla nafta, creò un velo mortale su tutta la superficie del porto. Coloro che dalle navi si tuffavano in acqua furono ben presto inzuppati dalla sostanza che bruciava la pelle e intossicava i polmoni. Gli ospedali ben presto si riempirono di feriti più che colpiti dalle esplosioni, erano provati dell'effetto del gas.

Ma non si sapeva che era il gas iprite a causare questi effetti devastanti poichè nessuno intuì subito. Dopo cinque ore circa, cominciarono i primi decessi, tutti quasi improvvisi, gente che stava pian piano riprendendosi, di colpo spirava, tutti avevano la pelle piena di vesciche e sulle ascelle, all'inguine ed ai genitali la pelle si staccava come nelle gravi ustioni. Quale fu il numero dei morti? Impossibile calcolarne il numero ma sicuramente intorno al migliaio tra civili e militari. Questo evento, unico nella Seconda Guerra, viene ricordato come la Pearl Harbour del mediterraneo ed è sicuramente stato il più grande disastro chimico. Furono recuperate moltissime bombe non ancora esplose, ognuna delle quali conteneva circa 30 kg di gas, mentre il restante come la maggior parte di residuati bellici non ancora esplosi, vennero fatti caricare su dei zatteroni, portati a largo e fatti inabissare.

Anche il porto di Barletta fu una delle basi di partenza di questa enorme massa di residuati bellici, fino ad ora si suppone che gli involucri contenenti le sostanze tossiche siano ancora integri, ma quando la corrosione arriverà a distruggerli cosa accadrà nei nostri mari? Ci sono poi quei casi in cui i residuati bellici, spinti dalle correnti, tornano verso riva, proprio lo scorso anno a Barletta furono fatti brillare due di essi. Il miracolo avvenne quando cominciò a soffiare il vento di levante, evitando il pericolo devastante della coltre su tutta la città , forse fu il buon San Nicola che volle ancora una volta salvare la propria città.

Ruggiero Graziano

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