sabato 28 febbraio 2015

Francesco Di Cataldo, un barlettano ucciso dalle Brigate Rosse


La sofferenza dei sopravvissuti, fa parte della colpa di chi uccide

Le vittime del terrorismo saranno ricordate il 28 aprile



 28 Aprile 2012 
Anche Barletta ha pagato tributo di sangue agli anni di piombo, l'oscuro periodo che insanguinò l'Italia durante tutti gli anni '70-80, in cui, giovani di destra e di sinistra, pretendevano di cambiare l'Italia con le armi. A morire in virtù di una ideologia furono studenti, giudici, appartenenti alle forze dell'ordine, sindacalisti, giornalisti. Tra le 378 vittime del terrorismo, c'è anche un cittadino barlettano, Francesco Di Cataldo, maresciallo maggiore del Corpo degli Agenti di Custodia. Il maresciallo Dicataldo era emigrato a Milano nel 1947 ed era in servizio presso la Casa Circondariale di Milano.

Il 20 aprile 1978, Francesco Di Cataldo, come tanti altri cittadini, uscì dalla propria abitazione per recarsi al lavoro e mentre si dirigeva verso la fermata dell'autobus, venne affrontato da due sconosciuti che gli esplosero sette colpi d'arma da fuoco, uccidendolo all'istante. L'agguato venne subito rivendicato dalle Brigate Rosse, colonna Walter Alasia. Francesco Di Cataldo aveva 52 anni.
Quei sette proiettili esplosi dai terroristi non avevano ucciso solo un vita, ma avevano distrutto anche le vite dei famigliari del maresciallo, che lasciava soli la moglie Maria Violante e i due figli Alberto, 19 anni e Paola, 15 anni. La notizia investì e distrusse anche la vita dei suoi fratelli, rimasti a Barletta.

La sofferenza dei sopravvissuti, fa parte della colpa di chi uccide. Molti di quegli assassini arrestati, oggi scagionati, tentano di "rifarsi una vita", ben mimetizzati nella società civile, nel tentativo di dimenticare quel periodo, in cui giocavano a fare la lotta armata. Molti di questi violenti, in realtà erano giovani provenienti da buone famiglie borghesi, che usavano la violenza in virtù di ideologie politiche, vedendo nelle loro vittime, nient'altro che simboli da abbattere. Ma dietro questi "obiettivi da abbattere", ci sono famiglie che spesso non hanno avuto giustizia, nè conforto morale, nè aiuti dalle istituzioni.

Il 15 giugno 2004, il maresciallo Di Cataldo, è stato riconosciuto "Vittima del Dovere" dal Ministero dell'Interno, che gli ha conferito la Medaglia d'Oro al Merito Civile e alla Memoria. In seguito, è stata intitolata la Sala Convegno Agenti della Casa Circondariale San Vittore di Milano.

Il 28 aprile 2012, le vittime del terrorismo saranno ricordate nel Giorno della Memoria. Durante questa giornata, si terrà una cerimonia religiosa presso la chiesa di San Luca, a Vanezia. Il Comitato "Cerimonia Madonna della Sfida" in collaborazione con l'Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria, ricorderanno le vittime del terrorismo, un periodo sanguinoso da ricordare, per i troppi smemorati che lo vorrebbero rimuovere.

Addio ad Angelo Riccheo, carabiniere barlettano reduce da un lager nazista


Morto pochi giorni fa, aveva dedicato la vita alla memoria dei campi di concentramento

Ricevette una medaglia d’onore dal presidente della Repubblica



 18 Agosto 2012
Una vita dedicata al ricordo e alla memoria delle tragiche storie di deportazioni nei campi di concentramento quella di Angelo Riccheo, carabiniere di origini barlettane ma da anni residente ad Imola, morto pochi giorni fa. Una vita per non dimenticare, e anzi per raccontare la sua personale e terribile esperienza in un lager austriaco, dove fu deportato nel 1943, a soli 18 anni, pochi mesi dopo essere entrato nell'Arma dei Carabinieri.

Riccheo, nato a Barletta il 23 agosto 1925, fu catturato nella scuola della caserma di Roma il 7 ottobre 1943, venne deportato in Germania (ora Austria) dove rimase rinchiuso nel campo di concentramento sino all'aprile 1945. Tra il 1950 e il 1960, durante il periodo dell'Amministrazione fiduciaria italiana della Somalia (Afis), soggiornò in Somalia per ragioni di servizio e si dedicò all'insegnamento ai somali nella scuola organizzata dai Carabinieri.

Andò in congedo nel 1986, dopo ben 43 anni di servizio nell'arma. Negli anni '90 ha ricevuto una medaglia d'onore dalle mani del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e ha rivestito l'incarico di «facente funzioni di segretario» nella sezione di Imola dell'associazione nazionale degli ex internati, ente morale dei reduci dai lager nazisti.

Francesco Lotoro «Questo patrimonio non è mio, appartiene all’umanità»


Francesco Lotoro ha raccolto 4000 manoscritti di musica dei lager

Una esplosione di creatività, all’ombra dei lager




 5 Febbraio 2012
Il pianista barlettano Francesco Lotoro, ha recuperato e archiviato 4.000 opere musicali, scritte nei Lager dal 1933 al 1945. Dopo 22 anni di ricerche e 10 anni di registrazione discografica, ho pubblicato l'Enciclopedia discografica della musica concentrazionaria KZ MUSIK (24 CD e 1 libro).
L'intera opera sarà presentata presso la Camera dei deputati, lunedì 6 febbraio.

La musica concentrazionaria è una delle più importanti eredità della Storia delle deportazioni e della Shoah. Si tratta di materiale musicale di alto valore storico, documentaristico, scientifico e artistico, autentico patrimonio dell'umanità. Una vera esplosione di creatività, in luoghi di morte e sofferenza come i lager.

Professor Lotoro, perché ha raccolto 4000 composizioni musicali in 20 anni?
«All'inizio per curiosità, molte cose iniziano per curiosità, in seguito diventano passione e ragione di vita. Trovai diversi nomi di compositori che avevano composto muisca nei campi di concentramento. La prima tappa fu Praga, da cui tornai con due valigie cariche di spartiti e composizioni. Da quel giorno ho esteso la ricerca su autori e campi di concentramento di cui si ignorava l'esistenza».

La sua ricerca è limitata soltanto a compositori ebrei?
«Se avessi limitato la ricerca ai soli compositori ebrei, avrei già concluso. Nella ricerca ho incluso tutti i gruppi sociali, religiosi: monaci benedettini, francescani, comunisti, geoviti, disabili, omosessuali, tutti discriminati per ragioni razziali, belliche, politiche».

In quali nazioni si sono concentrate le ricerche?
«In Europa, tranne in Spagna. Ad oggi , non ho un quadro completo del materiale conservato in Russia, che sarà la mia prossima tappa. So che in Romania e Bulgaria esiste molto materiale inedito. In questi anni mi sono avvalso di collaboratori in Argentina, Israele, Gran Bretagna».

Dove ha scovato questi manoscritti musicali?
«Nelle case, biblioteche, musei, centri di documentazione. Molti manoscritti erano scritti a matita, col carbone, su carta fragile, conservati precariamente. Molto materiale è andato perso, bisogna fare presto, la ricerca continua».

Che tipo di musica era contenuta in questi manoscritti?
«Ogni tipo di musica: jazz, musica per marionette, musica religiosa, ebraica e cristiana, musica popolare. Nei campi di concentramento c'erano strumenti musicali e la produzione musicale era di altissimo livello. I campi di prigionia non hanno fermato la creatività di questi musicisti, che hanno dato scossoni al linguaggio musicale».

Chi finanzia i suoi viaggi in Europa per la ricerca dei manoscritti?
«Nessuno, ho fatto quasi tutto a mie spese, ma ritengo di doverlo fare. Ho messo in pratica un precetto ebraico (mitzvah):«Devi farlo, non importa con quale spirito, arriverà il momento in cui la passione prevarrà».In questa ricerca sono solo, questo patrimonio non è mio, appartiene all'umanità. Forse non tutti hanno capito ciò che sto facendo, ma questo non ha fermato le mie ricerche, le ha solo rallentate».

Quali costi ha avuto la raccolta di questa enciclopedia musicale, e la registrazione su cd?
«Costi enormi, basti pensare ai costi dell'orchestra che ha inciso tutte le composizioni. Le sessioni di registrazione si sono tenute presso il teatro "Curci", il teatro "Giordano" di Foggia, il conservatorio di Foggia, gli studi Rai "Trafalgar" di Roma. Per registrare l'intero materiale ci sonno voluti 10 anni, con un piccolo finanziamento, ne sarebbero bastati cinque. Solo alcuni parenti dei musicisti uccisi nei campi hanno elargito piccole somme, e la Regione Puglia, tramite l'assessore Silvia Godelli ( Assessorato per Cooperazione coi Paesi del Mediterraneo - ndr), ha finanziato il progetto "Banca della Memoria" e il "Festival di Musica Giudaica". Silvia Godelli ha presentato l'enciclopedia musicale al "Salone del libro" di Torino».

Dove sono archiviati tutti questi 4000 manoscritti musicali?
«A casa mia, ma sarebbe stato bello che tutto il materiale fosse archiviato a Barletta, magari nel palazzo Feltrinelli, e messo a disposizione per gli studiosi, per questo sono rattristato. Ringrazio l'amministrazione comunale che mi ha concesso il teatro per incidere le composizioni, forse non hanno potuto fare di più. Dopo la pubblicazione di questa enciclopedia musicale, spero che qualcosa cambi». 
Il pianista Francesco Lotoro è l'autore e produttore artistico dell'Enciclopedia nonchè interprete delle opere pianistiche nonchè concertatore della produzione cameristica e sinfonica. 
Nato a Barletta nel 1964, già allievo di Kornel Zempleni, Viktor Merzhanov, Tamas Vasary e Aldo Ciccolini, a 30 anni dall'occupazione della Cecoslovacchia (1968–1998) Lotoro eseguì e registrò tutte le opere pianistiche scritte sulla Primavera di Praga; considerato la massima autorità a livello internazionale nella ricerca musicale concentrazionaria, è l'unico pianista al mondo ad aver eseguito la monumentale Sinfonia n.8 di Erwin Schulhoff per pianoforte, la partitura pianistica del Don Quixote tanzt Fandango di Viktor Ullmann e l'originale pianistico del Nonet di Rudolf Karel. 
Ha scritto l'opera in 2 atti Misha e i Lupi, la Suite ebraica Golà per cantore e orchestra e ha trascritto per 2 pianoforti Musikalisches Opfer, Deutsche Messe e 14 Canoni BWV1087 op. post. di J.S. Bach; è docente di pianoforte presso il Conservatorio U. Giordano di Foggia.

Il monumento nudo: storia “oscena” dell’amor patrio dimenticato


Nell'anniversario del 3 novembre, Michele Grimaldi ripercorre la storia del monumento ai Caduti

Monumento di piazza Caduti nel 1929

 3 Novembre 2013
«Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo discorso pronunciato in occasione della Festa delle Forze Armate, ha ammonito tutti a non dimenticare che l'Italia è una ed indivisibile e che le spinte federalistiche non possono minare la sua unità conquistata con il sangue dei militari italiani caduti in tutte le guerre. Con questo monito il nostro Presidente ha voluto dare una sorta di scossa a tutti gli italiani che stanno pericolosamente lasciando cadere nell'oblio i sacrifici di tutti quei soldati che hanno donato la propria vita per l'unità nazionale. Le parole forti pronunciate da Napolitano possono benissimo essere dirette alla nostra Città che, in un certo senso, ha trascurato quello che rappresenta il più importante ricordo di tutti quei nostri concittadini che hanno donato la vita per la propria terra. Naturalmente stiamo parlando del Monumento ai Caduti sito nell'omonima piazza». Così comincia la sua riflessione, Michele Grimaldi, funzionario dell'Archivio di Stato di Barletta, nella giornata di oggi, in cui ricorre il 95° anniversario della firma dell'armistizio dell'Austria-Ungheria con gli Alleati (tra cui l'Italia), uno degli atti che sancì la fine della Prima Guerra Mondiale.

«Le prime iniziative, documentate dagli atti dell'archivio storico del Comune di Barletta conservati presso la Sezione di Archivio di Stato di Barletta, risalgono nientemeno che al 16 agosto 1915 cioè all'inizio della Grande Guerra allorquando Luigi Vista, rappresentante, scriveva al Sindaco Cav. Uff. Luigi Cafiero comunicandogli " …di aver lanciato ai nostri concittadini una sottoscrizione popolare a 20 centesimi per una Colonna Commemorativa ai Nostri Caduti sul Campo della Gloria perché è dovere nostro provvedere acchè i Caduti sul Campo abbiano la riconoscenza della Città e l'eterno ricordo fra i vivi: null'altro mi spinse". La risposta del Sindaco non si fece attendere e il 21 agosto, dopo soli cinque giorni, Cafiero scriveva al Vista e ringraziando "… per la premura che si è data nel farmi la comunicazione, plaudisco con vivo e sincero entusiasmo al delicato pensiero di perpetuare con una Colonna Commemorativa la memoria dei Nostri Cittadini che hanno fatto olocausto della loro vita per la grandezza e la gloria della Patria. Questa Amministrazione, la quale vedrà concorrere nella maggior possibile misura col suo tributo finanziario, offre tutto il suo morale appoggio perché la nobile e patriottica iniziativa abbia al più presto la sua solenne consacrazione"».

«Purtroppo le vicende belliche non permisero che il progetto potesse avere la sua realizzazione, ma il discorso riprese subito dopo il termine del primo conflitto mondiale. Il 29 giugno 1920 il Regio Commissario Prefettizio Cav. Dott. Alfredo Mandarini inviava una lettera circolare ai rappresentanti delle associazioni e a privati cittadini che così recitava "…E' mio intendimento costituire un Comitato per la raccolta delle offerte necessarie per erigere qui un degno monumento che ricordi ai posteri il nobile sacrificio di tanti prodi che immolarono la loro vita per la Gloria e la Grandezza della Patria. La S.V. Ill.ma voglia compiacersi intervenire all'adunanza da me indetta per l'oggetto che avrà luogo su questo Palazzo di Città la sera di venerdì 2 luglio prossimo alle ore 19. Questa nobile e patriottica Città non deve essere seconda alle altre sorelle d'Italia e perciò sono certo che tutte le classi cittadine daranno, ben volentieri, il maggior contributo". Un invito più esplicito di così non poteva esserci! E in quella data subito si istituì il "Comitato per il monumento ai figli di Barletta Caduti in Guerra" con Presidente il Comm. Francesco Torre Brigadiere Generale in pensione. Tra i componenti da segnalare il dott. Alfredo Reichlin, il Grand'Ufficiale Arcangelo Cafiero, il notaio Tommaso Severini, l'Ing. Arturo Boccassini e il Dott. Michele De Pascale. Il Comitato, appena eletto, non perse tempo e programmò iniziative per la raccolta di fondi. Da segnalare una pesca di beneficenza fissata per le feste natalizie del 1920. Tra coloro che aderirono all'iniziativa, naturalmente, vi fu il Comune che, per tramite del Regio Commissario Prefettizio, inviò "… per la pesca di beneficenza un servizio in argentone per gelati per dodici" battuto per la cifra di lire 367,95».

«Le iniziative continuarono negli anni e tantissimi, da ogni parte del mondo, inviarono somme e prodotti per la realizzazione del monumento ai caduti. Fra le tante vogliamo segnalare la somma di £.20 offerte dalla Società Anonima Fratelli Branca "…nell'impossibilità per il momento di inviare oggetti della nostra Ditta (il famoso "amaro") e £.6.180 (dollari 225,50) inviati dalla Società "Mutuo Soccorso Barletta" di New York il 9 luglio 1926. Allorquando fu raccolta la somma necessaria per la realizzazione del progetto, il presidente del Comitato Torre inviò alla redazione del Bollettino del Sindacato Fascista degli Ingegneri di terra di Bari il bando di concorso per un "Monumento ai Figli di Barletta Caduti in Guerra" che recitava così " E' bandito un concorso fra gli artisti italiani per la erezione nella Città di Barletta di un monumento dedicato alla glorificazione dei barlettani caduti nell'ultima Guerra 1915-18. La somma posta a disposizione del vincitore per la esecuzione di detto monumento è di £.150.000. Il concorso è aperto fino al 30 novembre 1926 ". Il concorso venne vinto dallo scultore napoletano Raffaele Ferrara il quale fu incaricato della realizzazione del Monumento, mentre i lavori per la costruzione delle fondamenta, per un importo di £.21.269,27, furono eseguiti dalla Cooperativa "Produzione e Lavoro" presidente Michele Prascina e composta da ex combattenti».

«Purtroppo dopo una decina di anni quel monumento, sorto per ricordare valorosi barlettani, fu profanato privandolo delle figure di bronzo che lo componeva e la motivazione fu quella di fornire metallo alla Patria per costruire cannoni utili ad affrontare un'altra guerra che vedrà ancora vite di barlettani sacrificate per la propria terra. Da allora sono passati ottanta anni e tantissime amministrazioni comunali ma nessuna, fino ad oggi, ha fatto proprio lo spirito di quel gruppo di saggi barlettani che nel 1920 ebbe la "gloriosa" idea di ricordare i fratelli che non avevano avuto nessuna esitazione a donare la vita per la propria Terra. E proprio a questo proposito in più di un'occasione mi sono sorpreso a pensare che spesso si sente dire in giro "Che bei tempi quelli!". E no Signori, non erano i tempi belli ma le persone che con le loro azioni li rendevano speciali».

Eccidio delle Fosse Ardeatine: «Il sacrificio di Gaetano Lavecchia deve essere onorato»


Commemorazione nei giardini del Castello



24 Marzo 2014 
«Tocca anche a noi a Barletta mantenere sempre viva la memoria dei martiri per la libertà e la democrazia. Per questo è doveroso ricordare Gaetano Lavecchia - ha dichiarato il sindaco Cascella - vittima della barbarie nazista alla Fosse Ardeatine, così come lo scorso 12 settembre ricordammo i 12 vigili urbani e netturbini messi al muro del Palazzo delle Poste e trucidati dalle truppe tedeschi che occupavano la nostra città». Cascella ha deposto oggi un bouquet di fiori davanti alla targa che dedica uno dei viali del Giardino del Castello a Gaetano Lavecchia, vittima della strage delle Fosse Ardeatine a Roma, nel giorno del 70° anniversario del massacro nazista.

«In quei giorni di 70 anni fa, Gaetano Lavecchia, ebanista originario di Barletta che a Roma lavorava, riscattava la Patria partecipando all'azione clandestina del Partito di azione e del Comitato di liberazione nazionale. Il suo sacrificio alle Fosse Ardeatine può e deve essere onorato raccogliendone gli ideali di pace e di giustizia come patrimonio dell'intera collettività, da tutelare, far vivere, come ha ricordato il Presidente della Repubblica, giorno dopo giorno».

Ricordare il passato per costruire il futuro, celebrata il ”giorno della Memoria”

Fra musica e giovani, medaglie d’onore a due barlettani deportati




 27 Gennaio 2014 ore 14.02
"La memoria per costruire un futuro migliore", queste le parole del Sindaco di Barletta, Pasquale Cascella per esprimere il senso della giornata odierna, in Italia e nel mondo, ma celebrata degnamente anche a Barletta. "Il Giorno della memoria", prosecuzione del 70° Anniversario della Resistenza al nazifascismo a Barletta.

Con la legge 211 del 2000 è stata recepita l'istituzione della giornata della memoria, per non dimenticare i terribili crimini che i nazisti perpetrarono nelle fabbriche di morte che erano i lager, campi di sterminio. Essa è istituita dall'ONU il 27 gennaio, giorno in cui si aprirono i cancelli del lager di Auschwitz. Le persecuzioni naziste non furono solo connotate da un barbaro antisemitismo, senza motivi, ma a farne le spese furono anche italiani, militari, zingari, omosessuali, disabili e oppositori politici al regime del Terzo Reich.

Barletta ha affidato all'Archivio della memoria e della Resistenza, in particolare al prof. Luigi Dicuonzo, l'organizzazione di un'importante mattinata al Teatro Curci, alla presenza di tante autorità civili, militari e religiose, e con la partecipazione di molte scolaresche della città. Come ha ricordato anche il Sindaco nel suo discorso "accadono ancora" atti di crudele e ingiustificato razzismo, riferendosi sia a situazioni particolari in giro per il mondo, sia nelle nostre realtà quotidiane. Ogni tipo di razzismo non è altro che frutto d'ignoranza e non conoscenza, e la violenza che può scaturire da essa è spaventosa e vergognosa.

Esplicito il ricordo anche dei vigili trucidati il 12 settembre '43 a Barletta, valsa ben due medaglie d'oro alla città, e al coll. Francesco Grasso, a capo della resistenza barlettana, anch'egli internato nei campi di prigionia nazisti. Il tutto è stato esplicitato dalla proiezione di un breve documentario di Floriana Tolve che ha riassunto tutte le recenti iniziative inerenti: dalla visita di una delegazione dal Presidente della Repubblica Giorgi Napolitano, alla storica celebrazione con il Presidente del Senato Piero Grasso.

Dopo i saluti istituzionali del Presidente della Provincia di Barletta-Andria-Trani, Francesco Ventola, e del Prefetto Clara Minerva che ricopre tale incarico da soli venti giorni, sono state conferite le prestigiose onorificenze del Ministero degli Interni al novantaseienne Ruggiero Morgese, deportato IMI (Italiano Militare Internato) nei campi di concentramento per cui è intervenuto il nipote Luigi Santoro, e a Vincenzo Stasi, nipote del defunto Matteo Stasi, uno di quattro fratelli tutti militari italiani, anch'egli deportato dai nazisti.

Sono intervenuti ragazzi dell'ITC Cassandro per raccontare la loro esperienza dei viaggi della Memoria ad Auschwitz, avvenuti lo scorso anno. La mattinata è proseguita con una suggestiva interpretazione dell'ensemble dell'Orchestra Musica Concentrationaria, eseguirà musiche ebraiche e di prigionia la cui introduzione storica sarà curata dal maestro Francesco Lotoro, direttore dell'Istituto di Letteratura musicale concentrazionaria di Barletta.

Cancellate dalla memoria, storie di donne nella grande guerra


«Queste storie non si leggono sui libri di scuola»



 26 Novembre 2014
In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre, il castello Svevo di Barletta ha ospitato un evento per ricordare le donne che durante la grande guerra si sono distinte per il loro valore. L'evento, animato dagli alunni del liceo scientifico "C. Cafiero" ha permesso di fare luce sugli aspetti della prima guerra mondiale più nascosti e dimenticati. «Queste storie non si leggono sui libri di scuola, pertanto noi oggi vogliamo raccontarle, e riflettere sulla violenza generata dalle guerre, che si riversa anche e soprattutto sulle donne» riferisce Giusi Caroppo, assessore alle politiche dell'identità culturale.

Nel corso della serata è emersa la figura si Maria Plozner Mentil, emblema di patriottismo, spirito di sacrificio e ferrea volontà, caratteristiche tipiche delle portatrici carniche, mogli e madri che si fecero carico del sostentamento dei soldati in trincea, trasportando beni di prima necessità. Colpita mortalmente da un cecchino austriaco mentre svolgeva il suo lavoro, fu insignita della medaglia d'oro al valor militare.

Gli studenti hanno inoltre presentato alcune storie, delineando in particolare i profili della regina Elena di Savoia , che si svestì dei panni di regina per indossare quelli di infermiera e di Angelica Barbaro, attivista politica socialista e profondamente femminista nonché di altre figure che, nel corso della guerra, hanno dato il loro sostegno ai militari.

All'evento ha partecipato Mariantonietta D'Urso, la quale ha rispolverato la storia della Croce Rossa Italiana e del ruolo giocato dalle infermiere durante il confltto. «È importante trasmettere le esperienze di queste donne valorose ai ragazzi» conclude il vicesindaco Anna Francabandiera, assessore alle Politiche Sociali, «affinché diventino prosecutori del lavoro di ricerca degli eroi della grande guerra e ci permettano di scoprire storie di altri uomini e donne che, credendo nei loro ideali, hanno avuto un ruolo determinante in quegli anni dolorosi».

Donne e resistenza: incontro con la partigiana Bianca Bracci Torsi


Incontro - evento all’Istituto “Colasanto” di Andria



22 Aprile 2011
Si è svolto ieri presso l'Istituto Professionale "G. Colasanto" di Andria, il secondo e ultimo appuntamento di "Donne e resistenza … bentornata primavera", ciclo di incontri organizzati dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia BAT, in collaborazione con il Comune di Barletta, l'Archivio della Memoria e della Resistenza e l'ARCI "Carlo Cafiero". L'evento rappresenta una vera e propria testa di ponte fra città, perseguendo l'obiettivo di coinvolgere maggiormente nelle attività dell'ANPI BAT, nell'imminenza delle celebrazioni per il 66° Anniversario della Liberazione dal nazifascismo, le altre due città capoluogo della sesta provincia pugliese, un po' oscurate dal riconosciuto valore militare e civile della Città della Disfida. 

Ospite di questo nuovo convegno, la partigiana toscana Bianca Bracci Torsi, intellettuale, giornalista, dirigente e cofondatrice del Partito della Rifondazione Comunista nel 1991. Tra i relatori, l'Assessore regionale Maria Campese; il responsabile dell'Archivio della Memoria, prof. Luigi Di Cuonzo; il presidente dell'ANPI BAT nonché preside dell'Istituto "Colasanto", prof. Roberto Tarantino. Nel corso della manifestazione, a cui hanno partecipato attivamente gli studenti e i docenti del "Colasanto", è stata presentata al pubblico l'opera "Il colore del petrolio" dell'artista Paolo Vitali (già preside del Liceo Scientifico "Cafiero" di Barletta), una "Guernica" dei giorni nostri, che colpisce e lascia amarezza nella sua rappresentazione delle conseguenze devastanti della guerra.

Questo ciclo di incontri non poteva non ricordare il fondamentale ruolo svolto dalle donne nella lotta al nazifascismo e le sofferenze atroci che hanno subito svolgendo compiti tra i più pericolosi. Non poteva e non si possono dimenticare le violenze, le torture e le deportazioni che le donne hanno patito durante il secondo conflitto mondiale. Né tantomeno non poteva non sottolineare quanto sia stata importante la conquista, attraverso il fuoco e il sangue indelebile della lotta partigiana, della cittadinanza politica delle donne, esercitata la prima volta quel 2 giugno 1946.

«Ero molto arrabbiata con il mio comandante perché mi disse: «io non mando i bambini ad ammazzare la gente» racconta così la sua esperienza da partigiana la Bracci Torsi, la cui risposta al suo vecchio capo riassume in sé il fiero carattere battagliero di questa donna minuta, che mal sopporta le ingiustizie del mondo, e contempera alla stesso tempo l'amaro significato della lotta antifascista: «Io voglio ammazzare i fascisti e i tedeschi, quelli che ammazzano noi». Poi il suo lato di divulgatrice e intellettuale vien fuori: «Chi doveva e poteva bloccare i fascisti non l'ha fatto per debolezza e acquiescenza […]. Le donne sotto il fascismo non potevano insegnare la storia, il latino e il greco nelle scuole superiori, perché materie virili». Ricorda le limitazioni di allora all'assunzione delle donne nel mondo del lavoro e il ruolo destinato ad esse nel focolare domestico; il divieto di ricostituzione del PNF e di apologia del fascismo previsti dalla Legge Scelba che ogni giorno si viola impunemente. Infine il suo profilo di militante affonda i colpi nell'attualità e ne ha per tutti: «Il capo del governo dovrebbe prendere la strada giusta che sappiamo tutti qual è […]. La proposta di Marchionne è al pari del corporativismo fascista […]. Quando c'è una certa sicurezza, manca la forza del sindacato. Ci vuole più coraggio per scioperare e protestare». Non dimentica lo scarso peso dell'opposizione: «mi sento più vicina ai centri sociali che ai monarchici, bisogna individuare il fascismo di oggi e sconfiggerlo con una nuova resistenza e un nuovo antifascismo».

Da parte sua l'Assessore Campese ha rammentato come con la Resistenza, la Costituzione e la democrazia, le donne hanno seguito un percorso di emancipazione sul campo, il cui frutto più maturo, l'acquisizione del diritto di voto, ha reso le donne non più appendice di qualcuno. Rievocando la battaglia per i diritti – e in primis la cancellazione del delitto d'onore – la Campese ha messo in guardia sui tentativi di minare e sottrarre i diritti alle donne, con pratiche gravissime come la firma delle dimissioni in bianco dal proprio lavoro in caso di gravidanza. Il suo j'accuse si è poi spostato alle ultime dichiarazioni del Presidente del Consiglio sulla scuola pubblica, agli attacchi ai docenti accusati di dare segnali e messaggi agli studenti diversi da quelli che i genitori vorrebbero fossero dati, ai rischi di divisione sociale generati da una scuola privata per ricchi e una pubblica per poveri.

Al termine della manifestazione Bianca Bracci Torsi ha rilasciato gentilmente l'intervista a Barlettalife qui di seguito riportata.

Signora Torsi, ha ancora senso essere partigiani oggi?
R. Direi che oggi ha di nuovo senso, perché si tratta di lottare insieme contro un nemico comune, che è stata la forza di unire forze diversissime nel '43, e anche oggi può unire forze diverse, perché il nemico attuale è sempre lo stesso, un fascismo che, come recita la legge Scelba, vietato in ogni forma, si presenta sotto una forma diversa, con parole diverse, ovviamente con facce diverse … oddio con facce diverse nemmeno tanto, c'è qualche ministro che la faccia da fascista ce l'ha e anche i modi … mah comunque nuove. Per cui oggi serve una nuova Resistenza e nuovi partigiani.

La cronaca quotidiana rappresenta la figura della donna come cortigiana e prostituita al potente. Che messaggio vuole trasmettere alle giovani donne di domani?
R. Prostituirsi può essere una triste necessità, indotta dalla miseria, da condizioni particolari, ma una donna che ha un quoziente intellettuale nella norma, così come un uomo sia ben inteso, può vivere bene anche senza il bisogno di prostituirsi. Quando poi la prostituzione arriva al punto da portare a ricoprire ruoli pubblici, questo è ancora più grave, per chi ci capita sotto ma anche per la persona stessa che si trova a fare un ruolo che non sa, che fa per forza di cose come una marionetta in mano d'altri. Questa è una cosa molto triste.

Cosa risponde a certe tendenze revisioniste che accusano i partigiani di aver commesso crimini orrendi al pari di quelli dei nazifascisti?
(sorride, ndr). Una guerra si fa sparando e sparando si uccide naturalmente. Oltre a morire si uccide anche. Il revisionismo è qualcosa che viene lasciato circolare, non è il revisionismo degli storici, è un revisionismo di giornalisti o altra gente che scrive tipo Pansa, che dice cose assurde, palesemente assurde. Non esistono crimini terribili, può essere avvenuto dopo la guerra, che un uomo che ha visto suo padre portato sotto casa, torturato e fucilato sulla porta di casa (correggo, lui non l'ha visto perché era in montagna, ma la madre ha visto ed è impazzita), quando è tornato dal fare il partigiano, ha rivisto l'assassino di suo padre che invece di essere in galera come doveva essere, circolare libero per il paese gli ha sparato. Questo è un crimine orrendo? Io avrei fatto lo stesso ma non sono un termine di paragone adatto perché non sono particolarmente non violenta ma credo che chiunque avrebbe fatto lo stesso. La responsabilità è di chi non ha fatto pagare il fio a questa gente. È stata ammazzata dopo certo, è una reazione direi normale.

Un'ultima domanda: quale è il valore più importante dell'esperienza resistenziale antifascista che secondo Lei le nuove generazioni non dovrebbero e non devono perdere?
L'odio per il nemico (lungo silenzio, ndr) e la necessità di combattere per il bene di tutti.

venerdì 27 febbraio 2015

Barletta onora i suoi marinai caduti il 9 settembre 1943


Una doverosa cerimonia per ricordare i 7 marinai barlettani

Ci siamo riappropriati di un altro frammento di memoria storica



 14 Giugno 2010
Stamane alle 11 ci siamo riappropriati un altro frammento di memoria storica. Presso la banchina Ammiraglio Casardi del porto di Barletta si è inaugurata stele di marmo a ricordo dei sette marinai barlettani morti ( su 1352) nell'affondamento della corazzata Roma il 9 settembre 1943 dai nazisti, al largo dell'isola dell'Asinara.Oltre al sindaco Nicola Maffei, alle autorità cittadine e militari,erano presenti i rappresentanti delle sezioni A.N.M.I. (Associazione Nazionale Marinai d'Italia), L'istituto Nazionale del Nastro Azzurro (sezione di Bari) e relativi presidenti Pasquale Pedico e Sebastiano Lavecchia, nonché il comandante del porto Giuseppe Stola. Alla bella cerimonia ha preso parte anche l'unico superstite e testimone di quella tragedia, Vincenzo Petruzzellis, accanto al sindaco durante tutta la cerimonia. 

La presenza del signor Petruzzellis, ha rappresentato una testimonianza di antiretorica contro tutti gli stupidi nazionalismi e federalismi. Abbiamo conosciuto la signora Maria Rosaria Mazzola, figlia del marinaio Mauro Mazzola, anch'egli perito sulla corazzata Roma. La signora Mazzola è nata subito dopo la morte del padre, ma oggi era presente coi suoi familiari,e grazie a questa lapide di marmo, anche noi sappiamo chi erano quei sette marinai barlettani e cosa successe il 9 settembre 1943, il giorno dopo l'armistizio.

Iprite a Bari, l'ultimo mistero di guerra


Dopo settant'anni, ancore oscure le motivazioni




Giovedì 1 Dicembre 2011
Il 2 Dicembre del 1943, la Puglia e particolarmente Bari, diede un'altissimo contributo di sangue alla guerra che non finiva mai. Il pomeriggio di detta data, erano circa le 19,30, 105 bombardieri della Luftwaffe tedeschi, presero d'assalto il porto barese pieno zeppo di navi alleate. Almeno un migliaio di morti causati dalle diverse esplosioni e dal carico d'iprite cui era colma e zeppa una nave battente bandiera americana: John Harvey. E' utile precisare che i gas mortali, furono utilizzati tantissimo durante la Prima Guerra Mondiale, diversamente nella Seconda Guerra tutte le Potenze Militari ritennero inutile utilizzarli, oltretutto proibito dalle convenzioni militari.

Allora sorge spontanea una domanda: cosa avrebbero dovuto fare gli Alleati con quel gran quantitativo d'iprite? Cosa ci faceva la nave ormeggiata a Bari? A distanza di quasi settant'anni, il mistero è ancora vivo, accennato appena nei libri di storia e coperto da segreto militare. Un civile Augusto Carbonara che assistette al bombardamento dalla finestra della sua camera da letto, cosi ci racconta: A Bari il sole è tramontato da due ore, nel cielo sereno solo una piccola falce di luna. L'aria è chiara e luminosa ed il mare calmo e nel porto le luci delle navi illuminavano la banchina. Alle 19.25 suonano le sirene dell'allarme aereo, tutte le luci si spengono e nel frattempo un rombo di aerei arriva da nord-est. Cadono le prime bombe e si odono le prime esplosioni, mentre candelotti illuminanti vengono fatti paracadutare e lentamente illuminano il porto.

Nel complesso verranno affondate 5 navi americane, quattro inglesi, tre norvegesi, tre italiane (tra cui la nave Barletta, Frosinone e Cassala) e due polacche. Sette le navi gravemente danneggiate. La sorpresa dell'attacco e l'ignoranza del carico della Havey, causarono i danni più gravi. Non esistevano rifugi anti-aerei, non esistevano mezzi di protezione personale, tutti rimasero ai loro posti fino alla fine del bombardamento. Il maledetto gas, mescolandosi alla nafta, creò un velo mortale su tutta la superficie del porto. Coloro che dalle navi si tuffavano in acqua furono ben presto inzuppati dalla sostanza che bruciava la pelle e intossicava i polmoni. Gli ospedali ben presto si riempirono di feriti più che colpiti dalle esplosioni, erano provati dell'effetto del gas.

Ma non si sapeva che era il gas iprite a causare questi effetti devastanti poichè nessuno intuì subito. Dopo cinque ore circa, cominciarono i primi decessi, tutti quasi improvvisi, gente che stava pian piano riprendendosi, di colpo spirava, tutti avevano la pelle piena di vesciche e sulle ascelle, all'inguine ed ai genitali la pelle si staccava come nelle gravi ustioni. Quale fu il numero dei morti? Impossibile calcolarne il numero ma sicuramente intorno al migliaio tra civili e militari. Questo evento, unico nella Seconda Guerra, viene ricordato come la Pearl Harbour del mediterraneo ed è sicuramente stato il più grande disastro chimico. Furono recuperate moltissime bombe non ancora esplose, ognuna delle quali conteneva circa 30 kg di gas, mentre il restante come la maggior parte di residuati bellici non ancora esplosi, vennero fatti caricare su dei zatteroni, portati a largo e fatti inabissare.

Anche il porto di Barletta fu una delle basi di partenza di questa enorme massa di residuati bellici, fino ad ora si suppone che gli involucri contenenti le sostanze tossiche siano ancora integri, ma quando la corrosione arriverà a distruggerli cosa accadrà nei nostri mari? Ci sono poi quei casi in cui i residuati bellici, spinti dalle correnti, tornano verso riva, proprio lo scorso anno a Barletta furono fatti brillare due di essi. Il miracolo avvenne quando cominciò a soffiare il vento di levante, evitando il pericolo devastante della coltre su tutta la città , forse fu il buon San Nicola che volle ancora una volta salvare la propria città.

Ruggiero Graziano

Celebrati i Caduti per le due guerre mondiali


Il Presidente Marini e il sen. Latorre per non dimenticare





 13 Settembre 2014
La "Giornata della memoria" per Barletta è sicuramente il 12 settembre, ormai con giuste cerimonie ufficiali all'altezza dei fatti ricordati. Non dobbiamo, infatti, mai dimenticare con orgoglio che sul gonfalone di Barletta sono appuntate ben due medaglie d'oro, una al valor militare e una al merito civile, concreto segno che lega le Guerre alla memoria di questa città.

Quest'anno le celebrazioni sono state doppie: grazie alla partecipazione alla giornata celebrativa del sen. Franco Marini, come Presidente del Comitato storico-scientifico del centenario della Grande guerra; la Prima Guerra mondiale (1915-18), rappresentata dal conferimento della medaglia d'oro ad un nostro giovane concittadino, Giuseppe Carli, e la Seconda, con l'imperitura memoria del primo atto di rappresaglia nazista, con la trucidazione dei dieci vigili urbani e due netturbini, solo uno il superstite, il 12 settembre 1943 al fianco dell'edificio postale in Piazza Caduti.

È proprio lì che ieri pomeriggio, dopo l'inaugurazione mattutina della mostra presso la Prefettura, un nutrito corteo di autorità civili, militari e religiose ha accompagnato la deposizione delle corone d'alloro al monumento ai Caduti in Guerra e alla lapide che ricorda il sacrificio dei vigili e netturbini. A rendere omaggio anche varie associazioni di Combattenti e d'Arma e il picchetto d'onore militare; l'orchestra dell'associazione musicale "G. Curci" ha eseguito l'Inno di Mameli, con la voce del tenore Giovanni Mazzone.

La cerimonia è stata aperta dal prof. Luigi Dicuonzo, responsabile dell'Archivio della Memoria e della Resistenza, che ha ricordato i terribili fatti del '43. Questa grande 'ferita di guerra' indica «Una storia ferita che deve essere ricucita» ha detto il Sindaco di Barletta, Pasquale Cascella; è intervenuto anche il senatore Nicola Latorre, presidente della Commissione Difesa del Senato, che si è soffermato sulla crisi in Ucraina e in Medio Oriente, questioni incandescenti che fanno temere lo scoppio di un'altra grande guerra. «Comprendere e conoscere la guerra, per desiderare la pace» ha ribadito Marini, rintracciando le cause di quel primo conflitto soprattutto nell'estremo nazionalismo, e citando "l'inutile strage" come la definì l'allora papa Benedetto XV; il presidente del Consiglio regionale, Onofrio Introna è intervenuto ricordando l'Unione Europea creata proprio per sfuggire alla guerra, costruire e mantenere la pace.

L'identità storica di Barletta è anche parte di quella dell'Italia intera. Presenti i sindaci delle altre città della provincia, rappresentanti del consiglio regionale e la presidente del consiglio comunale. Al termine la lettura di un brano di una lettera di Giuseppe Carli.

Eccidio dei vigili nel '43 a Barletta


Il primo atto di rappresaglia nazista in terra italiana



A CURA DI
PAOLO DORONZO
L'8 settembre 1943 viene firmato l'Armistizio tra gli italiani e gli Alleati, e la parvenza che quel rovinoso conflitto, intrapreso dal regime di Mussolini al fianco della Germania nazista, volgesse al termine fu presto smentita dalle terribili efferatezze che i tedeschi causarono durante la loro occupazione. L'episodio dell'eccidio degli 11 vigili urbani, solo uno il superstite, e 2 netturbini, per mano dei nazisti il 12 settembre 1943, si cala in questo contesto. È ricordato come il primo atto di rappresaglia dei nazisti, in termini cronologici, sul territorio italiano, ma non certo l'ultimo.

È necessario, tuttavia, raccontare brevemente l'antefatto: ormai gli anglo-americani avevano liberato la Sicilia e iniziavano ad invadere da Sud la Penisola. I tedeschi dunque si spostavano gradualmente per formare la linea Gustav. Così l'11 settembre giungevano a Barletta, entrando da due direzioni: da Nord, quelli che arrivavano da Foggia, e dalla strada di Andria. Proprio qui già dal giorno precedente si erano verificati degli scontri con la Resistenza italiana, organizzatasi anche in città. Verso le 13.00 una motocarrozzetta tedesca con a bordo quattro soldati, si dirige dalla strada vecchia del cimitero cittadino, dopo aver eluso un blocco vicino l'Ofanto, e qui s'imbatte in un'ulteriore sparatoria. Un soldato tedesco resta ucciso, un altro ferito. Giungendo in piazza Roma, oggi piazza A. Moro, vengono allo scontro con un ufficiale che era in un autoambulanza, uno viene freddato, uno fatto prigioniero e uno, rifugiatosi in una macelleria in piazza viene sparato con un fucile da un civile. «Al triste episodio di sangue assistono, fortemente impressionati ed impotenti» , come riporta lo storico locale Damato, tre vigili, in servizio nell'Ufficio annonario, vicino alla macelleria.

Per questo e per un altro episodio di Resistenza avvenuto in via Andria, la mattina del 12 l'invasione tedesca si fece ancora più cruenta. «Si sparava indiscriminatamente su militari e civili inermi, cannoneggiano monumenti, l'ospedale», alle 8,30 circa viene sparato un colpo di carro armato da via Roma al palazzo di piazza Roma, sede del suddetto ufficio dei vigili. Così il maresciallo dei vigili urbani, Francesco Capuano, ordina ai vigili presenti di chiudere l'ufficio e rifugiarsi in un magazzino di frutta lì vicino. I tedeschi avanzano con l'obiettivo di occupare le varie caserme militari. Così irrompono al comando dei vigili che si trovava al palazzo Picardi (in via G. De Nittis, angolo attuale via R. Coletta) dove trovano undici vigili disarmati, perchè avevano avuto l'ordine di abbandonare le armi, e due netturbini. Questi con le mani alzate vennero condotti fuori, vicino al muro del lato meridionale dell'edificio postale di piazza Caduti e lì barbaramente trucidati. In tre cercarono di fuggire un istante prima ma furono raggiunti e uccisi al lato del palazzo. Solo Falconetti F. Paolo si salvò, ferito e coperto dagli altri corpi, salvato dopo ore da Addolorata Sardella. Antonio Falconetti, Pasquale Del Re, Luigi Iurilli, Michele Spera, Gioacchino Torre, Nicola Cassatella, Luigi Gallo, Pasquale Guaglione, Vincenzo Paolillo, Francesco Gazia, Savino Monteverde, Michele Forte persero la vita.

L'occupazione nazista a Barletta durò fino al 24 dello stesso mese, cui seguì la liberazione degli Alleati.

I moti popolari per il monumento della Disfida


Tra antifascismo represso e manipolazione giornalistica



A CURA DI
FLORIANA DORONZO
Nell'ottobre del 1931 si aprirono vari contenziosi sull'appropriazione del luogo in cui il monumento dovesse erigersi: il Sig. M. Gioia avanzò la pretesa di trani perché tra Andria e Corato fu combattuta la celebre vicenda, mentre il prof. Sergio Pannuzio di Molfetta dichiarò che l'erezione del monumento spettava al capoluogo. Il 3 novembre, proprio a Bari si costituì il Comitato per il Monumento nazionale della Disfida; per questa pretesa si ebbero a Barletta i moti popolari, tra il 3 e il 10 novembre. La mattina del 3 novembre, la cittadinanza insorta trasportò il Monumento-Bozzetto dello Stocchi dal Comune a Piazza Roma.

La città fu accusata di antifascismo e venne assediata da truppe con la caccia all'uomo e, nel pomeriggio del 10 si ebbe la tragedia con sparatoria da parte dei Carabinieri contro la massa dei cittadini gridanti in Via Municipio. Civili morti, feriti e contusi, 38 squadristi arrestati, mentre a Roma si aggiungevano agli arresti di barletta quello del Podestà Giuseppe Lamacchia e quello dell'ing. Arturo Boccasini.

L'accusa, per i Memoriali presentati al Duce, fu respinta e il 14 aprile 1932, da S. E. Arpinati, sottosegretario all'Interno nella relazione alla camera dell'Ordine pubblico, si ebbe piena soddisfazione per la nostra città, affermando che per i moti di Barletta si era trattato di nobile obbiettivo.

La distorsione informativa fu anche ad opera di giornali stranieri, come quello francese che pubblicò un articolo di cronaca, presentando Barletta come la città-scintilla da cui sarebbero scoppiate le insurrezioni antifasciste in Italia. Appurata l'inesistenza d'avversione al regime, i moti popolari della nostra città furono presi ad esempio di orgoglio cittadini e difesa dei valori di combattimento e di vittoria.

Il monumento nudo: storia “oscena” dell’amor patrio dimenticato


Nell'anniversario del 3 novembre, Michele Grimaldi ripercorre la storia del monumento ai Caduti



 3 Novembre 2013 
«Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo discorso pronunciato in occasione della Festa delle Forze Armate, ha ammonito tutti a non dimenticare che l'Italia è una ed indivisibile e che le spinte federalistiche non possono minare la sua unità conquistata con il sangue dei militari italiani caduti in tutte le guerre. Con questo monito il nostro Presidente ha voluto dare una sorta di scossa a tutti gli italiani che stanno pericolosamente lasciando cadere nell'oblio i sacrifici di tutti quei soldati che hanno donato la propria vita per l'unità nazionale. Le parole forti pronunciate da Napolitano possono benissimo essere dirette alla nostra Città che, in un certo senso, ha trascurato quello che rappresenta il più importante ricordo di tutti quei nostri concittadini che hanno donato la vita per la propria terra. Naturalmente stiamo parlando del Monumento ai Caduti sito nell'omonima piazza». Così comincia la sua riflessione, Michele Grimaldi, funzionario dell'Archivio di Stato di Barletta, nella giornata di oggi, in cui ricorre il 95° anniversario della firma dell'armistizio dell'Austria-Ungheria con gli Alleati (tra cui l'Italia), uno degli atti che sancì la fine della Prima Guerra Mondiale.

«Le prime iniziative, documentate dagli atti dell'archivio storico del Comune di Barletta conservati presso la Sezione di Archivio di Stato di Barletta, risalgono nientemeno che al 16 agosto 1915 cioè all'inizio della Grande Guerra allorquando Luigi Vista, rappresentante, scriveva al Sindaco Cav. Uff. Luigi Cafiero comunicandogli " …di aver lanciato ai nostri concittadini una sottoscrizione popolare a 20 centesimi per una Colonna Commemorativa ai Nostri Caduti sul Campo della Gloria perché è dovere nostro provvedere acchè i Caduti sul Campo abbiano la riconoscenza della Città e l'eterno ricordo fra i vivi: null'altro mi spinse". La risposta del Sindaco non si fece attendere e il 21 agosto, dopo soli cinque giorni, Cafiero scriveva al Vista e ringraziando "… per la premura che si è data nel farmi la comunicazione, plaudisco con vivo e sincero entusiasmo al delicato pensiero di perpetuare con una Colonna Commemorativa la memoria dei Nostri Cittadini che hanno fatto olocausto della loro vita per la grandezza e la gloria della Patria. Questa Amministrazione, la quale vedrà concorrere nella maggior possibile misura col suo tributo finanziario, offre tutto il suo morale appoggio perché la nobile e patriottica iniziativa abbia al più presto la sua solenne consacrazione"».

«Purtroppo le vicende belliche non permisero che il progetto potesse avere la sua realizzazione, ma il discorso riprese subito dopo il termine del primo conflitto mondiale. Il 29 giugno 1920 il Regio Commissario Prefettizio Cav. Dott. Alfredo Mandarini inviava una lettera circolare ai rappresentanti delle associazioni e a privati cittadini che così recitava "…E' mio intendimento costituire un Comitato per la raccolta delle offerte necessarie per erigere qui un degno monumento che ricordi ai posteri il nobile sacrificio di tanti prodi che immolarono la loro vita per la Gloria e la Grandezza della Patria. La S.V. Ill.ma voglia compiacersi intervenire all'adunanza da me indetta per l'oggetto che avrà luogo su questo Palazzo di Città la sera di venerdì 2 luglio prossimo alle ore 19. Questa nobile e patriottica Città non deve essere seconda alle altre sorelle d'Italia e perciò sono certo che tutte le classi cittadine daranno, ben volentieri, il maggior contributo". Un invito più esplicito di così non poteva esserci! E in quella data subito si istituì il "Comitato per il monumento ai figli di Barletta Caduti in Guerra" con Presidente il Comm. Francesco Torre Brigadiere Generale in pensione. Tra i componenti da segnalare il dott. Alfredo Reichlin, il Grand'Ufficiale Arcangelo Cafiero, il notaio Tommaso Severini, l'Ing. Arturo Boccassini e il Dott. Michele De Pascale. Il Comitato, appena eletto, non perse tempo e programmò iniziative per la raccolta di fondi. Da segnalare una pesca di beneficenza fissata per le feste natalizie del 1920. Tra coloro che aderirono all'iniziativa, naturalmente, vi fu il Comune che, per tramite del Regio Commissario Prefettizio, inviò "… per la pesca di beneficenza un servizio in argentone per gelati per dodici" battuto per la cifra di lire 367,95».

«Le iniziative continuarono negli anni e tantissimi, da ogni parte del mondo, inviarono somme e prodotti per la realizzazione del monumento ai caduti. Fra le tante vogliamo segnalare la somma di £.20 offerte dalla Società Anonima Fratelli Branca "…nell'impossibilità per il momento di inviare oggetti della nostra Ditta (il famoso "amaro") e £.6.180 (dollari 225,50) inviati dalla Società "Mutuo Soccorso Barletta" di New York il 9 luglio 1926. Allorquando fu raccolta la somma necessaria per la realizzazione del progetto, il presidente del Comitato Torre inviò alla redazione del Bollettino del Sindacato Fascista degli Ingegneri di terra di Bari il bando di concorso per un "Monumento ai Figli di Barletta Caduti in Guerra" che recitava così " E' bandito un concorso fra gli artisti italiani per la erezione nella Città di Barletta di un monumento dedicato alla glorificazione dei barlettani caduti nell'ultima Guerra 1915-18. La somma posta a disposizione del vincitore per la esecuzione di detto monumento è di £.150.000. Il concorso è aperto fino al 30 novembre 1926 ". Il concorso venne vinto dallo scultore napoletano Raffaele Ferrara il quale fu incaricato della realizzazione del Monumento, mentre i lavori per la costruzione delle fondamenta, per un importo di £.21.269,27, furono eseguiti dalla Cooperativa "Produzione e Lavoro" presidente Michele Prascina e composta da ex combattenti».

«L'attesa inaugurazione avvenne il 18 marzo del 1929 alla presenza del Regio Commissario Prefettizio Vito Lattanzio e di autorità civili, religiose e militari. Nel suo discorso il Commissario spiegava che il monumento ai caduti di tutte le guerre era stato costruito "…per non dimenticare il sacrificio silenzioso dei tanti nostri morti delle guerre e per salvare la memoria della tragicità di quegli eventi. Centinaia di barlettani: questo il tributo enorme che una Città gloriosa ha offerto sull'empio altare del dio della guerra. Tante vite spezzate, tante famiglie distrutte o mai nate per difendere i confini dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale. Se la nostra nazione esiste è anche perché tantissimi uomini sono morti su tanti fronti. Uomini con ideali diversi, con storie diverse, con motivazioni diverse ma con in comune un destino tragico e glorioso: la loro morte in guerra per preservare la propria Patria. I barlettani di tutto il mondo hanno prodotto uno sforzo comune per ricordare i tanti fratelli morti chissà come e in quale posto sconosciuto. La nostra comunità cittadina non ha voluto perdere il ricordo di un ramo reciso della sua famiglia anzi, ha voluto serbare il diritto e la dignità di commuoversi ricordando i il nome di un familiare che ha donato la propria vita per la Patria"».

«Purtroppo dopo una decina di anni quel monumento, sorto per ricordare valorosi barlettani, fu profanato privandolo delle figure di bronzo che lo componeva e la motivazione fu quella di fornire metallo alla Patria per costruire cannoni utili ad affrontare un'altra guerra che vedrà ancora vite di barlettani sacrificate per la propria terra. Da allora sono passati ottanta anni e tantissime amministrazioni comunali ma nessuna, fino ad oggi, ha fatto proprio lo spirito di quel gruppo di saggi barlettani che nel 1920 ebbe la "gloriosa" idea di ricordare i fratelli che non avevano avuto nessuna esitazione a donare la vita per la propria Terra. E proprio a questo proposito in più di un'occasione mi sono sorpreso a pensare che spesso si sente dire in giro "Che bei tempi quelli!". E no Signori, non erano i tempi belli ma le persone che con le loro azioni li rendevano speciali».