giovedì 5 marzo 2015

Il capitano Luigi Bianchi, che salvò Barletta dal bombardamento


Il 24 maggio 1915 un cacciatorpediniere austriaco bombarda Barletta




 16 Febbraio 2015 
Prima guerra mondiale, un massacro inutile, pianificato da governi e monarchie, dalle cui ceneri nacquero i germi di altre dittature: nazismo, fascismo e comunismo. Nel centenario della guerra, vi raccontiamo uno atto di disperato eroismo accaduto a Barletta, tra le migliaia avvenuti durante tutta la guerra, su tutti i fronti. Alla vigilia dell'entrata in guerra, l'ammiraglio Haus, comandante supremo della Marina Austriaca, emanò il seguente ordine:«E' mio intento danneggiare di sorpresa il nuovo avversario, applicando un sensibile colpo alla sua forza morale». A tale scopo, la Marina austriaca bombarda punti militari della costa adriatica, con l'impiego di tutte le forze che - al momento della dichiarazione di guerra - erano presenti nelle acque italiane. La maggioranza di questi obiettivi militari erano, in realtà, città indifese, come ad esempio Barletta.

Il bombardamento di Barletta
Quel 24 maggio 1915, primo giorno di guerra, le condizioni atmosferiche erano scarse a sul mare di Barletta c'era foschia, che non permetteva una buona visuale. Ad un tratto, verso le 04.00, dal porto, fu avvistata una nave all'orizzonte. La nave - nonostante le ripetute richieste di identificazione tramite radiotelegrafo - mantiene il silenzio radio, fino a quando, giunta a breve distanza dalla costa, viene riconosciuta : è l'incrociatore austriaco "Helgoland", stazza di 3500 tonnellate, armato con nove cannoni. Con una rapida manovra, l'incrociatore vira in direzione della imboccatura del porto e apre il fuoco: colpisce prima alcuni vagoni ferroviari del porto, poi mira verso il centro abitato sulla città, colpendo una abitazione in via Mura di S. Cataldo, nei pressi della Cattedrale. In seguito, aggiustando il tiro, la nave austriaca colpisce le mura del castello svevo, dove si trova un distaccamento di fanti e bersaglieri. Le sette cannonate che colpiscono il castello, vengono sparate a lunghi intervalli, con precisione. Le mura resistono e i sette colpi sono tuttora visibili. Alle 4.10, il cacciatorpediniere "Aquilone" - in navigazione a breve distanza dalla città - avvista l'incrociatore austriaco intento a bombardare Barletta, si dirige per attaccarlo: Helgoland interrompe il bombardamento, inseguendo il più piccolo e meno armato Aquilone.

Il cacciatorpediniere "Turbine" giunge in aiuto
Dal porto viene radiotelegrafate richieste di aiuto, che vengono raccolte dal cacciatorpediniere italiano "Turbine" ( 300 tonnellate, 4 cannoni da 76 mm), comandato dal capitano Luigi Bianchi, in navigazione a breve distanza da Barletta. Il Turbine è una nave veloce, sebbene inferiore nelle dimensioni e nell'armamento, che si lancia in aiuto della città di Barletta. Nel suo rapporto, il comandante Bianchi scrive:«Non pensando all'ordine avuto di non impegnarmi contro forze superiori, ma cedendo all'impulso dell'indignazione provocata dal vedere bombardare una nostra città indifesa, ordinai alle macchine di mettere a tutta forza e diressi verso il nemico».

Il Turbine, identificato l'esploratore nemico da 9.000 metri, si dirige per attaccarlo, per distoglierlo dall'inseguimento dell'Aquilone e dal bombardamento di Barletta. Vistosi attaccato, l'Helgoland cessa il fuoco contro l'Aquilone, che si allontana, e dirige contro il Turbine allo scopo di bloccarlo; il cacciatorpediniere italiano inizia ad allontanarsi, grazie alla sua maggiore velocità, inizia un lungo inseguimento, cercando di attirare la nave austriaca verso Pelagosa (Isole Tremiti), dove navi italiane stavano effettuando uno sbarco. Barletta è salva. All'alba, il Turbine rallenta ad est per non incagliarsi sul Gargano, in prossimità delle acque di Manfredonia. Intanto, sopraggiungono altre cacciatorpediniere austriache, il "Tatra" e il "Csepel", di 900 tonnellate ciascuna e armate di 6 cannoni, il "Lika" e "Orjen", navi veloci e potenti, che raggiungono il Turbine. Alle 5.48, le navi avversarie aprono il fuoco.

La battaglia navale al largo di Manfredonia
Nel rapporto, il comandante Bianchi, scrive:«Il tiro nemico si rivelava potente, ma poco centrato, e il Turbine, circondato da granate che scoppiavano vicinissime, procedeva illeso e si poteva ancora sperare, data l'altissima velocità raggiunta, di prolungare la lotta per molto tempo». Il Turbine ingaggia battaglia ma, circondato dal tiro incrociato delle cinque navi austriache, si difende in una disperata battaglia. Colpito in più punti, continua a sparare fino all'esaurimento del le munizioni. Ormai, metà dell'equipaggio è morto o ferito, lo stesso comandante Bianchi colpito di striscio al viso da una scheggia di granata sul ponte di comando. Verso le 7.00 del mattino, il comandante ordina l'auto - affondamento del cacciatorpediniere, per evitarne la cattura da parte degli avversari austriaci.

«Per evitare il macello, ormai inutile» – scrive il comandante nel suo rapporto – «ordinai all'equipaggio di cacciarsi in acqua, e con orgoglio posso dire che non pochi volevano rimanere a bordo e che dovetti loro imporre di abbandonare la nave. Ordinai al capo timoniere di ammainare il battello, dichiarare la resa e imbarcare i feriti gravi sulle scialuppe». Al termine della battaglia, la squadriglia navale austriaca si allontana velocemente. Al termine della guerra, le suddette navi austriache furono cedute all'Italia, in conto riparazione danni di guerra; il "Lika", fu affondato il 29 dicembre 1915.

Per ricordare questo tragico evento, è stato dato il nome "Via Turbine" ad una strada della città di Barletta ed è stato affissa una lapide all'ingresso del castello svevo, a ricordo del tragico evento.

Capitano Luigi Bianchi
Il capitano Luigi Bianchi nacque a Genova il 21 dicembre 1873. Morì a Sestri (Ge) il 15 aprile 1953 col grado di contrammiraglio della Riserva Navale.

Si ringrazia per la collaborazione Ruggiero Graziano, presidente dell'ANMIG (Associazione Nazionale Mutilati Invalidi di Guerra) - sezione Barletta (via Capua, 28)

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